Agenda dei Poeti 2002
Prolusione
Il dibattito ormai consueto sul come il tema
poetico debba e possa esprimersi nella forma più che nella sostanza,
se, cioè, la espressività dell’autore debba orientarsi sul ritmare
il pensiero attraverso l’uso della rima. Questo ricorrere della
poesia alla musicalità connessa a rime baciate o alternate si fa
risalire al medioevo per supplire alla così detta ritmica
quantitativa specialmente con la poesia provenzale che ne fece
larghissimo uso, fino al sorgere dell’impiego dei vari idiomi
volgari.
Con il sedicesimo secolo, diffusosi
il verso sciolto, cadde in disuso, salvo un suo ritorno di fiamma
nel periodo romantico, soprattutto per quanto riguarda la poesia
lirica. In epoca contemporanea è di nuovo riemerso il verso libero,
ma con questo non è affatto sopita la diatriba se questa sia la vera
poesia oppure, affinché sia tale, debba esservi obbligatoriamente il
ricorso al verso rimato.
Certamente anche questo importante concorso
dell’Agenda dei Poeti vede una netta prevalenza del verso libero,
che, per quanto concerne alcune correnti di pensiero, permette la
più completa libertà ispirativa, senza il vincolo obbligatorio di
collegare termini legati da una musicalità ritmata. Di sicuro una
frase poetica non può presupporre da una sua peculiarità
fondamentale: al di là dell’originalità e della poeticità
dell’immagine non è
possibile prescindere dalla musicalità del verso, che viene
conseguita solo attraverso la capacità del poeta di convertire in
parole ed immagini musicali la propria personale vena artistica.
Ma la poesia è altrettanto
sicuramente la capacità di concretizzare il sogno, sia esso
influenzato dalle esperienze vissute o dalla percezione superiore di
chi sa intuire: guai a permettere la morte dei nostri sogni
percorrendo un sentiero di pace interiore!
La vita non può e non deve essere un pomeriggio
domenicale, ove non vengono chieste grandi cose nè viene preteso
nulla di più di quello che, con scarso impegno, vogliamo dare.
Nel momento nel quale pensiamo di
essere maturi e accantoniamo le fantasie dell’infanzia ci siamo
incamminati verso la rinuncia a considerare l’esistenza come una
grande avventura da vivere, ci rifugiamo nel banale, erigiamo
steccati a difesa del nostro stato di parziale o totale benessere,
badando a non uscire dal territorio che abbiamo delimitato per non
correre rischi o, comunque, per non incrinare l’insieme delle
certezze che, con minore o maggiore impegno e fatica, abbiamo eretto
nel corso di un periodo, chiamiamolo costruttivo, del cammino
esistenziale.
Ebbene, quando percorriamo questo
angusto sentiero, inserito nel nostro ancor più delimitato giardino,
abbiamo rinunciato ad esistere ed abbiamo già varcato l’ultimo
cancello, il cui stridore neppure abbiamo udito, per cercare senza
che ce ne accorgiamo il luogo nel quale, al fine, biancheggeranno le
nostre ossa; non può esservi poesia, così, nè ispirazione, ma solo
una sterile ricerca formale.
Per fortuna, invece, molte,
incredibilmente molte composizioni, conservano questa capacità di
offrire sogni, anche attraverso le sofferenze, le dure prove che,
talvolta, l’esistenza ti offre con disegno inesplicabile, da
sembrare crudele, quasi perverso. Ma, senza accorgersene, forse, il
poetare rappresenta un modo coraggioso per esprimere la propria
individualità, per ribellarsi al consueto, per costruire un
messaggio, che potrà anche essere limitato, privo di aneliti
universali, ma che impone una riflessione per chi vuole ascoltare o
semplicemente vuole uscire dal culto dell’io individualistico
esasperato e vuole aprire mente e sensibilità ai linguaggi altrui,
avvicinandosi, per brevi attimi, al sogno di un altro essere,
diverso dai propri o simile o sovrapponibile in parte, ma certamente
proteso ad uscire dalla solitudine dell’uomo che, tramite l’evento
poetico, potrà trovare finalmente un
sollievo, lieve ma decisivo, alle asprezze della vita
quotidiana.
Roberto Bramani Araldi
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