La favola del Cuvignone
Lo vedi,
è lì,
il gigante, è addormentato,
riposa;
vedi, il testolone adagiato,
fra i picchi,
cuscino il cielo,
e il braccio destro abbandonato,
verso S.Antonio,
e il sinistro, allungato,
ad indicar Laveno,
e l'epa, prominente,
sopra le gambone,
l'una a guardar Nasca,
l'altra, incombente, su Caldè.
Sai, è gentile,
fra gli alberi timorosi topini
e conigli, nasi e orecchie frementi,
e cantar di uccelli
e frinire di cicale
e cinghiali grufanti:
tutti ospiti, tutti amici,
anche bisce e rospi,
e il porcospino;
sono discreti, camminano, corrono,
senza destarlo,
senza solletico.
Sol se le nubi infittiscono
e la luce si nasconde
e la nebbia,
umida, grigia, impalpabile,
a presagir tempesta,
scende fin su le rive,
e la pioggia, a scrosci,
principia a sferzar case e vie,
allora lui s'alza maestoso,
a scrollar le spalle,
e tuoni feroci e veloci lampi
a portar timore
a ricordar sua possanza.
Ma poi, quando il sole torna,
a sforar le coltri,
e il fraterno vento allontana
l'ultimo sfrangiar di nube,
il Cuvignone è ancora lì,
maestoso,
gigante buono,
addormentato,
e il ciel, mai così trasparente,
brilla dell'ultimo arcobaleno,
a circondarne il capo,
regale e immutato.
Roberto Bramani Araldi
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