Roberto Bramani Araldi

CoronavirusAttoPrimo

60 MILIONI D’ITALIANI IMPRIGIONATI. SONO INNOCENTI! Sembra proprio che quel sant’uomo di Dracone si stia rivoltando nella fossa, costernato, annichilito dall’avanzare implacabile del progresso, dalla nascita di un neologismo infido, pericoloso che sta inficiando la sua fama, mettendo in pericolo la sua conclamata notorietà, rimasta immutata, ma soprattutto immutabile nei secoli: eh! No, così è scorretto, non si fa! Chiariamo. Dracone, ateniese, vissuto a cavallo del settimo/sesto secolo avanti Cristo, autore delle leggi draconiane, di cui nessuno in realtà conosce i contenuti, ma sinonimo di leggi dure, severissime anche per quell’epoca costellata di per sé di regole quali: “Occhio per occhio, dente per dente”, avesse intrapreso la decisione di regolamentare tali forme barbariche con indirizzi, di certo rigorosi, ma tali da rendere più chiare le competenze di giudici e d’imputati. Leggi draconiane vennero chiamate, tanto che Solone ritenne giusto, pochi decenni dopo, attenuarne la portata, abolendone una parte. Torniamo ai disagi di Dracone che, poveretto, era convinto di poter accedere all’eterno ricordo. Ora sembra – ribadiamo il sembra, “del doman non v’è certezza” come intonava Lorenzo il Magnifico nella sua Canzone di Bacco – che per quanto attiene le leggi severissime stia emergendo la terminologia di “leggi contiane”. Terminologia che neppure lontanamente si avvicina allo stile, all’imponenza alla, diciamolo pure, pomposità delle “leggi draconiane”, ma il convento passa questo e di questo dobbiamo accontentarci. Sì, si crede che l’Italia sia la patria del diritto, la patria delle libertà, del libero pensiero: verissimo. Di ciò possiamo giustamente essere orgogliosi, ma ora? Dopo le “leggi contiane” che sarebbero i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri emessi in occasione della crisi sanitaria connessa al coronavirus, siamo il popolo degli Iloti – coloro che non avevano alcun diritto, erano semplicemente schiavi che dovevano sottomettersi ai loro padroni: i nativi di Sparta -, dobbiamo subire la prigione nei nostri comuni, nel nostro Paese: “Vi preghiamo, siamo innocenti, non abbiamo rubato, spacciato droga, men che meno ucciso o seviziato o stuprato, siamo italiani, brava gente, per antonomasia!”. “Le leggi sono leggi, sono per il vostro bene, noi – e solo noi, si sappia! – abbiamo a cuore la vostra salute e pensiamo al vostro benessere! Se voi siete così superficiali da non capirlo, ve lo faremo capire, con le buone o con le cattive! I decreti – decretoni o decretini che dir si voglia in funzione della loro perentorietà – vanno rispettati: che siamo? Un paese da operetta, forse? ”. Le grida manzoniane sono state emesse, i monatti, armati di libretti per comminare salatissime contravvenzioni ai trasgressori e, se refrattari, anche arresti – alla faccia delle carceri sovraccariche di quasi il 100% della loro capienza, pure in rivolta, adesso -, scorrazzano per il Bel Paese trasformato in un enorme lazzaretto: “dall’Alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno” cantava sempre il nostro Manzoni nazionale nel “5 maggio”, in questo caso dalla Vetta d’Italia a Pantelleria e Lampedusa, le strade rimangono desolate, vuote, l’umore del popolo degli schiavi è sempre più funereo, la depressione incombe e i governanti? Anche qui serpeggiano le voci, nulla si sa di preciso, ma – sarà vero o leggenda, o, peggio maldicenza – sembra che molti si siano convertiti ad una profonda religiosità, per cui – si dice, di nascosto, con il benestare di sacerdoti che, avendo a cuore la cura delle anime, abbiano benevolmente accondisceso a forme di devozione inattese e per questo ancor più gradite, concedendo accesso ai templi, pur che venissero rispettate le regole impartite dalle norme – vengano quotidianamente accesi numerosi ceri al fine di mantenere l’epidemia il più a lungo possibile per consolidare ulteriormente il consenso. Ma come? Non la si doveva combattere? Sicuramente, ma vogliamo mettere la messe di codesti consensi che sta producendo? La gente è terrorizzata, ha paura, è stato loro detto che è una terribile epidemia, più continua e maggiormente sarà possibile erigersi a unici che, attraverso disposizioni dure, ma ineluttabili, hanno salvato le loro vite, consentirà loro, una volta debellato il coronavirus, di riprendere a vivere come e meglio di prima – se l’economia collassata lo consentirà -. E poi il nome, il nome del virus! Non è emblematico? CORONAVIRUS. Nel suo nome c’è il simbolo del potere: corona, corona, corona, come è dolce ed evocativo di re, di regnanti, del domino che gli eletti possono a piacimento esercitare sulle plebi? “Ma l’opposizione che fa?” – si domanda la signora Maria –. “E’ costernata, si è resa conto che gli è stato sfilato sotto i piedi il tappeto del consenso, quindi scelta strategica – e forsennata – chiede azioni ancora più drastiche per poter, forse, dire che se l’epidemia non si placa la responsabilità debba essere fatta ricadere su chi non ha assunto misure adeguatamente severe.” Non si accorge che oltre la schiavitù è difficile andare. Gli Iloti potevano essere uccisi, ma poi? Non potevano essere uccisi una seconda volta. Fantapolitica? Probabilmente, ma per ora non ci sono avvisaglie di cambiamento, le nubi sono sempre più basse e lasciano presagire solo tempi cupi. Ma torniamo a noi: vogliamo analizzare alcuni valori di contagio? Dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità per la “semplice patologia influenzale” dal 2007 al 2017 circa il 9 per cento della popolazione italiana ha contratto il virus dell’influenza, quindi una cifra superiore ai 5 milioni annui. Questi i dati di contagio. I dati di decesso sono ancora più significativi. I morti “diretti” sono stati circa 460 annui, mentre le stime per le morti “indirette”, dovute a complicazioni polmonari o cardiovascolari indotte dall’aver contratto l’influenza, vanno da 4 a 10 mila annue, con una media di circa 8 mila decessi annui. Ciò significa che in 10 anni in Italia sono decedute per influenza 80.000 persone! Questi sono morti di serie Z che non interessano nessuno perché l’influenza è una malattia banale e non è, come il coronavirus, di attualità e non si presta a speculazioni di sorta? E’ la signora Maria che interloquisce: “ma questa è una pandemia, mica è una semplice epidemia influenzale! La pandemia, questa sì che fa paura!” “Guardi, signora Maria, che la pandemia è un’epidemia, non c’è differenza, è solo diffusa in più Paesi nel mondo, quindi i numeri dei contagi e dei decessi – i morti, signora Maria – salgono semplicemente perché la base numerica sale – ci sono più persone, cioè, che si possono ammalare.” “Sarà, ma se i cinesi li hanno chiusi in casa, cinquanta milioni, mica uno, e i contagiati sono diminuiti e anche i morti, significa che hanno fatto bene.” “Vero, hanno fatto benissimo: c’è solo una differenza che loro hanno bloccato – siamo abbondanti, non facciamo i tirchi – il 4% della popolazione, noi il 100%: non le sembra un po’ troppo?” “Io non ne capisco molto, ma io ho paura, non voglio mica lasciarci le penne!” “Va beh, signora Maria, è giusto che abbia paura, ma guardi che i dati della Cina dimostrano, ancora una volta, che la matematica statistica non è un’opinione, ma fornisce dati certi: ogni epidemia ha un decorso a V capovolta, prima salgono a perpendicolo i contagiati e i morti, poi, raggiunto il picco massimo, gli uni e gli altri cominciano a scendere, quasi indipendentemente delle misure adottate. Inoltre si è mai chiesta come mai le pestilenze che hanno funestato l’umanità non l’hanno distrutta, quando nel passato non esisteva veramente nulla per contrastarle e il lazzaretto era solo il luogo dove scaricare i moribondi?” “Senta mi gh’hoo capì òna svérza, mi voo a cà e me sari dénter e basta, go minga voeùja de morì inscì prést!” Se ne va la signora Maria, contenta della sua quasi quarantena, è stata spaventata a sufficienza e ora che le hanno detto che rispettando con rigore le prescrizioni, riuscirà sicuramente a cavarsela, è più serena. Non è libera, è vero, ma le è andata, tutto sommato, bene: per adesso non deve portare la stella di Davide. 12 marzo 2020 Roberto Bramani Araldi

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