Roberto Bramani Araldi

Agenda dei Poeti 2011 - Prolusione

AGENDA DEI POETI 2011 - PROLUSIONE

 

E’ quasi una consuetudine interrogarsi sulle motivazioni che spingono individui appartenenti alle più diverse estrazioni culturali a scrivere, con tempi e modi non omologabili in un unico modello standardizzato, poesia, in genere, prosa, abbastanza spesso.

Lo scrivere può essere l’unico lembo di spiaggia destinato alla felicità in un’isola costellata da dirupi a picco sul mare, può essere il modo per esprimere creatività, per vivere più compiutamente attraverso l’estrinsecazione dei propri sentimenti, nella cadenza di versi o di frasi che riflettano l’essenza dell’autore. Può essere la scappatoia che serve a sanare i “lividi dell’anima”, dando un senso all’anelito dell’uomo di convertire pensieri in scritti, a giustificazione di quel desiderio d’eternità che vive instancabilmente in lui.

Quindi lo scrivere come effetto terapeutico che consenta di fugare le psicopatologie che la nostra società talvolta ammannisce con grande dovizia.

Oppure che il mettere assieme versi o parole, seguendo l’ispirazione del momento o cercando di assemblare impulsi sorti e concretizzati in archi temporali diversi, sia un atto di donazione.

O infine che lo scrivere sia un mezzo per evadere dalla realtà, per essere felice creando qualcosa, oppure per attingere da lei, sfruttandola sino alle radici, per conseguire una momentanea, ma liberatoria beatitudine.

Tante differenti angolazioni sono improntate ad una valutazione completamente positiva sugli stimoli che pervadono coloro che decidono d’iniziare a comunicare con il foglio ancora immacolato, ma c’è anche la presenza, per fortuna non diffusa, della “fiera delle vanità”, non intendendo con questo il famoso romanzo Vanity Fair di William Thackery, bensì la vanità di sentirsi chiamato poeta oppure scrittore.

Allora, se questo è il movente, scatta, in alcuni casi, la molla del conseguire il risultato con ogni mezzo; qual’è mezzo più semplice per arrivare allo scopo? Ovvio, il copiare. Così accade che vengano saccheggiati versi isolati o addirittura, come ci è già accaduto in precedenti concorsi, intere composizioni nell’intento di gabbare la giuria e di ottenere premiazioni e riconoscimenti immeritati, è vero, ma essenziali per costruire l’immagine.

Si copia Carducci citando “stormi di uccelli neri” o una poesia/preghiera, sperando che nessuno se ne accorga. Il fatto non è improponibile, di ardua attuazione, anzi è abbastanza sicuro, basta che chi vuole imbrogliare sappia scegliere.

Ma non ci si accontenta, si sposta più in alto l’asticella: si arriva a copiare anche un libro, nel caso odierno “Profumo” di Patrick Suskind, si badi bene non qualche pagina, ma tutto il libro, parola per parola, cambiando solo il nome di qualche personaggio e, naturalmente, il titolo. L’evento di per sé è certamente squallido, ma l’aspetto più inquietante è dato dal fatto che, parlandone con persone di una certa cultura, si venga a scoprire un giudizio fondamentalmente buonistico: “Ma si tratterà di una burla, l’autore sarà un burlone”. Forse non è chiaro il concetto del termine “burla”, ma chi cerca d’imbrogliare una giuria – e quindi gli organizzatori di un prestigioso Premio Letterario – non è un burlone, è un disonesto.

Del resto è successo in un Premio Letterario dedicato a racconti inediti di trovare un racconto bellamente copiato da Buzzati - Direttissimo da Sessanta Racconti - , di cui era stato usato anche il titolo.

Vi assicuro che lo sdegno per queste azioni oggi è mitigato di molto rispetto al momento nel quale qualche giurato si è accorto dell’inganno, poiché competere in questo modo è come cercare di primeggiare con colpi bassi e facendo uso del doping.

Consentitemi ora di plagiare una mia recente affermazione, ritornando ad inquadrare il tutto nella sua corretta dimensione:  sono convinto che tutti voi abbiate chiara la motivazione che vi spinge a scrivere un libro, un racconto o a costruire una lirica che potranno essere apprezzati oppure lasciati precipitare nell’oblio, ma avrete senza dubbio compiuto, come afferma Marcel Proust, un viaggio di scoperta, dove il vero viaggio di scoperta non è cercar nuove terre, ma avere nuovi occhi.

 

                                                   Roberto Bramani Araldi

Roberto Bramani Araldi

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